Uno dei villaggi più caratteristici ed ameni che abbia potuto vedere nei miei quindici anni di viaggi nel mondo del vino, è senza dubbio quello di Bernkastel, adagiato sulle rive della Mosella ed è talmente fiabesco, che per magia, ti catapulta direttamente  in una fiaba dei fratelli Grimm. 

Percorrendo le tipiche stradine acciottolate ed ammirandone i caratteristici edifici a graticcio, si ha la sensazione che da un momento all’altro compaia un principe, una strega, un lupo e anche un carro pieno di succulenti grappoli d’uva, magari d’oro…….


Squarcio di Bernkastel

Ad aumentare il fascino ed il mistero, dietro il caseggiato, su una sommità raggiungibile in mezz’ora di cammino, dominano il villaggio le rovine del Castello di Landshut, costruito dai Romani, che lo chiamarono “Princastellum”, baluardo per proteggere la valle della Mosella dai barbari e nel tempo fu assediato, distrutto, ricostruito fino a sopravvivere all’invasione francese, per poi cadere vittima di un grande incendio.

Da ricerche personali, ho scoperto che già nel 371 d.C. fosse fervida la viticultura in questa landa teutonica, vista la documentazione per iscritto dell’alto funzionario  gallo-romano Ausonio, ed ancora più sorprendente quanto viene menzionato dal poeta Venanzio Fortunato, nel suo diario di viaggio “De navigio suo” dell’anno 588 i cui vigneti vengono descritti in questo modo:


….. La vite è piantata strettamente in file nell'ardesia e il terreno limitato è attratto dalle sopracciglia della montagna. La coltivazione si fa beffe dei fiorieri che fissano gioielli rupestri, anche nel pallore della pietra l'uva matura con grazia……Là, dove le ripide fenditure producono la dolcezza più preziosa delle bacche, e sulla vite il frutto ride nella roccia pura.


A completare l’opera, innumerevoli leggende che si sono protratte nel tempo in una duplice esigenza di esaltazione e di esemplarità di luoghi e personaggi che hanno fatto la storia enologica di questo incantevole luogo.

La più famosa narra che nel XIV secolo l’arcivescovo Boemund II di Trier (odierna Treviri), nominato dall’Imperatore Carlo IV nel 1356 con la legge imperiale “Bolla d’oro”, si ammalò gravemente durante un soggiorno al Castello di Landshut; nessun medico di corte, nonostante la somministrazione di erbe medicinali, infusi di tè ed intrugli vari, riusciva a guarirlo, tanto che venne posta una ricompensa a chiunque fosse stato in grado di adempiere a tale compito. Nel castello Hunolstein, nell’Hunsruck, viveva un cavaliere anziano, temprato da mille battaglie, dalle tempeste, dalla pioggia, dal caldo e dal freddo, ma ancora forte nonostante l’età non più verde. Quando sentiva che le sue stanche membra lo facessero vacillare, si rifocillava con un buon sorso di vino Bernkasteler. 

Saputo dell’infermità del prelato, prese con sé un barilotto del suo miglior vino vecchio e si diresse al castello di Landshut; senza esitazione riempì una tazza di un meraviglioso vino limpido e dorato, il cui profumo speziato si riversò immediatamente in tutta la stanza in cui l’arcivescovo Boemund giaceva afflitto e come per incanto, bevendone più di un sorso, riprese con immediatezza le forze, si alzò dal letto, chiese del cibo e svuotò il boccale. 

Boemund II fu così felice da dare a quel vino miracoloso il nome di “Bernkasteler Doctor”, che porta ancora oggi.

Vivendo nell’attuale situazione pandemica, ho pensato che il miglior medicamento preventivo fosse quello di degustare un Riesling di questa meravigliosa zona enologica e precisamente un Bernkasteler Badstube Spatlese di J.J. Prum annata 2009 di 9, 0° vol. 

La cantina Joh, Jos, Prum, nasce nei primi anni del secolo scorso, anche se la famiglia si dedica da secoli alla coltivazione della vite e da anni sono un punto di riferimento per tutto il territorio della Mosella. Possiedono circa 22 ettari vitati di proprietà con la caratteristica che quasi tutti sono costituiti da vigneti a piede franco; la mission è quella di produrre uve sane attraverso un approccio prevalentemente naturale senza l’ausilio di prodotti di sintesi ed in cantina la vinificazione è tradizionalista, con fermentazioni spontanee con lieviti naturali e con la capacità di dar vita a vini di qualità, di longevità ed apprezzati a livello internazionale. 


Ma veniamo alla degustazione. Amo versare i Riesling nell’ampio balloon perché sento sempre il bisogno di assaporare al meglio lo spettro olfattivo. 

Si presenta di colore giallo paglierino limpido tendente a un pallido dorato uniforme; al naso, iniziali ed evidenti sentori idrocarburici dì petrolio, lasciano il posto in breve tempo a matrici fruttate di pesca gialla, mela ed accenni di limone maturo, in un corollario olfattivo di soave dolcezza. Mi diverto a rotearlo nel bicchiere per far riemergere a più riprese le note di gas e di benzina che nei Riesling mi fanno letteralmente impazzire.

In bocca è decisamente fresco ed attraversato da una vena di dolcezza tipica degli Spatlese, ma bilanciata egregiamente da una perfetta acidità. A tratti è leggermente cremoso ed ha una sottilissima ed inaspettata nota di effervescenza che svanisce in pochissimi istanti, lasciando una bellissima sensazione di pulizia al palato. Grande persistenza gustativa, in un vino decisamente gourmand e a mio modo di vedere da bersi a secchiate, come direbbe il mio amico Emanuele Spagnuolo di Grandi Bottiglie (grandibottiglie.com).

Abbinato a un piatto di spaghetti con cozze e peperoncino.

Anche se non ha la taumaturgia di liberarci dal Covid 19, di sicuro questo Riesling è un vino che mette di buon umore e che quanto meno guarisce dalla noia di questo lockdown, che ci costringe a rimanere in casa alla stregua degli acciacchi del buon Boemund II che, se potesse, ritornerebbe sulla terra solo per berne un altro sorso.