“Così parla il Santo, il Veritiero, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre.” -Ap 3, 7


Questo è uno dei versetti tratti dall’Apocalisse di San Giovanni, libro con cui si conclude il Nuovo Testamento e contiene un vero e proprio lascito ai posteri, relativamente alle sorti dell’umanità, una vera e propria profezia che Cristo rivela all’apostolo. A Giovanni vengono concesse visioni futuristiche e insiemi di numerologie che vanno interpretate, ma che il più delle volte lasciano il lettore confuso e disorientato.

In soccorso ci vengono suggeriti gli insegnamenti e le ricerche di teologi, psicologi e studiosi di storia sacra, che identificano nell’Apocalisse il processo evolutivo dell’essere umano, dove gli eventi nefasti descritti da Giovanni, rappresentano la parte incancrenita dell’anima, che necessariamente va rimossa a favore di una trasposizione del proprio io verso un nuovo stato di coscienza, atto alla costituzione di un Nuovo Mondo. Un Mondo che va ripopolato da una comunità di illuminati, scevra da comportamenti lesionisti, incoscienti ed autodistruttivi. Anche chi non crede, non può esimersi dal verificarlo tutti i giorni, dove i disastri ambientali, le epidemie, le guerre, le disuguaglianze sociali ed altro ancora sono segnali che ci inducono a riflettere su un necessario cambio di direzione del nostro modo di vivere e se siamo impossibilitati a farlo, perché da soli siamo una piccola goccia d’acqua nel mare, dobbiamo comunque iniziare a purificare la nostra anima, a costruire dentro di noi la Gerusalemme Celeste. Penso che anche la pandemia che stiamo vivendo sia un chiaro segnale che non possiamo più aspettare, ma che dobbiamo aprirci completamente a una vita nuova.

Quando, ogni tanto, vado a rileggermi i versi enigmatici ed emblematici dell’Apocalisse, mi torna sempre in mente la Porta San Giovanni in Laterano, fatta costruire nel 1574 da Papa Gregorio XIII Boncompagni, il cui direttore lavori fu tale Jacopo del Duca, aiutante di Michelangelo, maestoso esemplare dell’architettura rinascimentale a Roma. 

La Porta San Giovanni in Laterano

E’ pur vero che sono da sempre appassionato di misteri, ma ricordo che l’ultima volta che ho visitato Roma, nel lontano 2008, nell’oltrepassare quella porta ho come sentito una sorta di energia cosmica in grado, in un attimo, di rigenerarmi corpo e spirito. Ho avuto come la sensazione di attraversare un ideale stargate che mi stesse proiettando verso qualcosa di nuovo. Le visioni di Giovanni sono per caso un salto quantico temporale??

Non lo sapremo mai, ma di certo so che la stessa sensazione di rigenerazione l’ho avvertita nella degustazione di un vino, che definirei apocalittico, nella sua benevola accezione e mi sto riferendo al Saumur-Champigny “La Porte St. Jean” 2014 di 12,5° vol. di Sylvain Dittière, il nuovo profeta del Cabernet Franc in Loira, nella zona che va sotto la denominazione di Saumurrois.  Proprietario di una piccola azienda, imparentato con la famiglia Foucault del monumentale Clos Rougeard, ha potuto trarre insegnamenti facendovi apprendistato e piantando solide fondamenta enologiche che non l’hanno più abbandonato. 6,5 ettari vitati per metà a cabernet franc e per metà a chenin blanc in completa conduzione biologica pur non certificata e con vigne vecchie anche di 90 anni, vinificazioni e fermentazioni le più naturali possibili, affinamenti in vecchie barrique da 500/600 litri, uso di pochissima solforosa, zero filtrazioni e permanenza nelle botti di almeno 24 mesi. 

Il nome del suo Domaine nasce dal fatto che a 100 metri dalla sua ubicazione è stata eretta nel XV secolo, nel villaggio di Montreuil Bellay, una porta, che ancora oggi una lapide muraria, identifica come Porte St. Jean. Che coincidenza……..di sicuro oltrepassandola si aziona un altro stargate ed i vini di Sylvain non potranno non essere che profetici.

La Porte St Jean a 100 metri dal Domaine Dittièere

Ma veniamo alla degustazione.

I vini di Dittière hanno bisogno di ossigenarsi per bene e quindi ho stappato la bottiglia 4 ore prima di essere servita. 

Versato nell’ampio ballon, si presenta di un bel color rosso porpora con lievissimi accenni aranciati sull’unghia.

Al naso emergono con impeto note di peperone verde grigliato, su di una base di speziatura di tabacco dolce e cuoio; a seguire esce la parte fruttata di prugna e ciliegia molto matura e sul finale accenni di cacao, ma non amaro.

In bocca si avverte un’iniziale verticalità per poi espandersi riempiendo il palato e solleticando le papille gustative con un raffinato tannino. Notevole la corrispondenza naso/bocca, con una acidità un po’ ruffiana che gli dona una pregevole freschezza ed immediatezza di beva. Un Cabernet Franc stupefacente, mai opulento e pesante, ma dotato di una finezza e di un’eleganza fuori dal comune su di una persistenza gustativa lunga ed accattivante. Sarò blasfemo ma preferisco questo Saumur a tanti bordolesi più famosi e quotati. 

Fermarsi dal degustare è come richiudere lo stargate, da dove sono entrato, che mi riporta alla realtà quotidiana con la consapevolezza comunque di ripoter varcare quella porta, riportandomi nella catarsi onirica dei vini di Sylvain.