Chi mi conosce, sa che ho un’autentica venerazione per la Borgogna e per i suoi vini, tanto che, insieme alle Langhe è il territorio vinicolo che ho più visitato e per il quale vengo soggiogato da un vero e proprio “mal d’Africa”. Trattasi di vera e propria attrazione fatale che, non solo mi induce a ritornarci, ma anche ad acquistare periodicamente, dal mio amico Emanuele Spagnuolo di grandibottiglie.com,  splendidi nettari che recensisco con parsimonia, degustandoli nel miglior arco temporale possibile per essere consumati. Ogni appassionato sa che oramai i prezzi sono diventati importanti, quasi proibitivi per le normali tasche e che riuscire a scovare vignerons con un ottimo rapporto qualità/prezzo diventa sempre più difficile. 

Tra i bianchi (tralasciando i vigneti di Montrachet,  equamente divisi tra i Comuni di Puligny e Chassagne ed i rispettivi vini dai prezzi impossibili) quelli che mi affascinano di più (anche per un discorso affettivo, visto che il primo produttore borgognone che ho visitato nel lontano 2006 era di quel villaggio) sono quelli di Chassagne Montrachet.

Siamo in piena Cote de Beaune e questo villaggio mitico prende l'origine del suo nome dall'etimologia latina "Cassanea", che significa "legno di quercia" e la presenza della vite è attestata a Chassagne già intorno all’anno mille. Naturale quindi che qui si trasudi di storia enologica. Uno dei suoi vigneti più importanti, il “Clos Saint Jean” era di proprietà dell’Abbazia benedettina di Saint Jean d’Autun, fondata nel 589 d.C. Ci sono inoltre reperti storici che testimoniamo che i monaci di Cluny possedevano nello stesso periodo a Chassagne un importante vigneto.

L’importanza dei vini di Chassagne viene messa in risalto dal primo libro sulla Borgogna dell’Abate Arnoux del 1723 e pubblicato a Londra nel 1728, scritto in un francese arcaico e che ho completamente tradotto alcuni anni fa e che riporta quanto segue:


….Chassagne ha vigneti poco estesi, ma molto considerati per la reputazione dei vini; secondo il mio personale giudizio è il vino più opportuno per il mercato inglese perché è quello che sopporta con forza il trasporto di terra e di mare. E’ estremamente violento, vivo e con caratteristici sentori fumosi; è tannico e questa prerogativa lo rende più duraturo rispetto a tutti gli altri, ma quando lo si lascia invecchiare e la tannicità tende ad ammorbidirsi si dimostra come uno dei più grandi vini del mondo. Se dovessi ordinare una fornitura per il Re, andrei in Borgogna e sceglierei il vino di questo territorio. E’ il solo che si possa lasciare in bottiglia senza temere che perisca, che cambi colore e che inacidisca. Col tempo cambia il ventaglio dei profumi e comunque, al massimo può durare 3 anni, anche se sarebbe preferibile berlo verso la fine del secondo anno. Nelle annate eccellenti, può durare addirittura 4 anni! Nel rango dei vini en  primeur è quello decisamente più longevo…..


L’Arnoux enfatizza quale vin en primeur il Chassagne Rouge ricordandoci che il territorio, pur condividendo con Puligny la pertinenza del celeberrimo ed impossibile Grand Cru Montrachet è da sempre stato più congeniale ai vini rossi, tanto che ho scoperto che sino ai primi anni ’70 del secolo scorso, gli ettari vitati a rosso rappresentavano i 2/3 della produzione. Sintomatico il fatto che nel 1816, Jullien cita i vini rossi di "Chassagne" in terza classe tra i "vini pregiati" della Borgogna, assegnando ad alcune località la prima classe, tra cui il Clos de "Morgeot", "La Maltroie" e il "Clos Saint Jean ".

Da metà degli anni settanta sino ad oggi, c’è stata una vera e propria inversione di tendenza ed oltre l’80% delle uve provenienti dai 19 climats di Chassagne, classificati in Premier Cru sono oggi a bacca bianca. Bianchi che oggi si vendono meglio e spuntano prezzi di gran lunga più alti. Personalmente, avendo degustato diversi Chassagne Montrachet blanc, devo dire che lo Chardonnay ha trovato qui la giusta dimora. Probabilmente l’inversione di tendenza nasce dal fatto che a livello commerciale e di puro marketing, i rossi di Chassagne non tenessero testa ai più blasonati della Cote de Nuits e quindi si è deciso di cambiare strategia che, a quanto pare ha pagato eccome. 


Nel 1878 il comune di Chassagne aggiunse al suo nome quello del suo “cru” più prestigioso, diventando così Chassagne Montrachet.

I vigneti di Chassagne Montrachet danno vita a Chardonnay di grande eleganza, ma allo stesso tempo di pienezza, di ampiezza e grassezza; il terroir è costituito da calcare oolitico di origine Bathoniana e con quote minoritarie di argilla e ghiaia. Le cosiddette terres blanches di Chassagne, quelle a nord dell’abitato , sono quelle con maggior presenza di calcare e che danno vita ai migliori vini bianchi di questa appellation e tra questi è annoverato anche il Chassagne Montrachet Premier Cru “En Virondot” 2011 di 13, 5° vol. del Domaine Marc Morey et Fils, visitato nel 2013 e già raccontato in altra degustazione del “Les Vergers “ annata  2008. 

Il vigneto En Virondot dal satellite


Il vigneto En Virondot è chiamato così in quanto, in origine, la vite era piantata in curva, in francese antico, veniva definito “virandiot”. Per chi fosse stato a Chassagne Montrachet, si trova a nord-ovest dell’abitato e una stradina lo divide dal più ben noto dirimpettaio “Le Cailleret”. Questo cru non compare nel Plan statistique des vignobles produisant les grands vins de Bourgogne del 1861 (Mappatura statistica dei vigneti che producono i grandi vini di Borgogna), di cui posseggo una copia e pertanto si può solo desumere che sia un vigneto più recente, sicuramente del secolo scorso. Ma veniamo alla degustazione; stappato senza particolari problemi, tappo compatto e sano di 5 cm. Versato nell’apposito balloon tipo Burgundy, si presenta di un bel colore oro zecchino limpido e uniforme; al naso, immediate note agrumate di lime, si alternano a sentori di mela verde e a un suadente tocco vanigliato. Lasciato ossigenare a dovere, emergono nitidi sentori di cera d’api e sbuffi di burro giallo, quello bio, più cremoso e sul finale accenni di erbe aromatiche, tipiche della macchia mediterranea.

In bocca entra piacevolmente, ma allo stesso tempo si fa sentire in modo sontuoso ed a tratti opulento, leggermente salivante e grasso, con un’acidità tagliente e con una sapidità pronunciata. Ampio, di corpo, con un’ottima corrispondenza naso/bocca e soprattutto con una persistenza aromatica che si aggrappa al palato su di un retrogusto di mandorla dolce. Uno Chardonnay tipico di Chassagne, vigoroso e da una beva impegnativa ma che lascia non poche soddisfazioni. Il prezzo medio in enoteca che oscilla tra i 70 e gli 80 euro è importante, ma credetemi, giustifica quello che c’è in bottiglia. 

Degustare gli Chardonnay di Chassagne non è solo un vero e proprio momento conviviale ma è sicuramente poter sorseggiare uno dei pezzi di storia dell’enologia mondiale. Prosit.