Penso di essere un appassionato di vini un po’ atipico. Non sono un sommelier e non mi interessa diventarlo, non perché snobbi la categoria, anzi e non sono così tecnico come bisognerebbe esserlo per poter capire a fondo un vino, ma mi definisco più semplicemente un amatore, nella sua accezione più affettiva e se proprio volessi fare il figo, direi il classico wine lover, tanto per tirarmela, buttando lì l’ennesimo inglesismo che ormai impera, inflazionando la società e il costume italico. Se proprio volessi fare il pignolo, mi definirei un nostalgico amatore legato alla storia del vino, al passato e all’evoluzione che questo nettare vivente ha avuto nel tempo, ma sempre con uno sguardo rivolto alle origini. A volte mi sento una sorta di enoarcheologo, termine che indecorosamente ho coniato, ma che rende bene l’idea. 

Oltre alla storia, mi destano sempre curiosità ed interesse gli aneddoti e le leggende che ruotano attorno ad un vino che, spesso e sovente, mi vengono raccontati da vignaioli veraci, per intenderci quelli che hanno la classica azienda famigliare, con il viso rugoso, segnato dal tempo e da una vita in vigna e con le mani impolverate e ruvide come la carta vetrata. 

Al pari della Borgogna, le Langhe sono un territorio che mi è entrato nel cuore e che da oltre 15 anni visito regolarmente. Terra di elezione del Re dei vini: il Barolo. Anni fa, un vecchio vignaiolo di La Morra, mi raccontò un aneddoto che sintetizza cosa sia il Barolo ed è una storia talmente emblematica che vorrei condividere. 

Si narra di un vecchio vignaiolo, tale Tistin Brezza, uno di quelli ruspanti, che si vantava di consumare annualmente 30 brenta di vino (1500 litri…..) e sempre e unicamente Barolo delle sue vigne. Accadde che, data la tarda età si ammalò a tal punto da rimanere quasi infermo, restando nel suo giaciglio senza potersi quasi muovere. Vennero al suo capezzale i vicini e li mandò via a malo modo, tollerando solo i fratelli e le premure della sorella. La notizia ben presto arrivò al reverendo del paese, al quale venne consigliato di far visita al malato per impartirgli la benedizione e per somministrargli l’olio Santo. 

Il reverendo non tardò ad incontrare il povero Tistin, ammonendolo nel prepararsi a raggiungere la casa del Padre…. Il vecchio vignaiolo, nonostante il muso duro, ordinò alla sorella di offrire un bicchierino di Marsala al curato per il disturbo, ma il prelato non lo accettò di buon grado, manifestandogli di non gradirlo. A questo punto disse alla sorella di prendere una bottiglia impolverata del suo Barolo, posta sopra lo stipite della porta della cantina e di porlo al reverendo e anche a lui. Ne bevvero e il reverendo ne fu subito ammaliato; ben presto si passò al secondo bicchiere, al terzo il prete si tolse i paramenti sacri mettendo da parte l’olio Santo e a poco a poco i due finirono la bottiglia. Il reverendo a questo punto pensò di abbandonare la scena sentendosi in colpa per il suo comportamento quasi blasfemo, avendo comparato il Barolo all’olio Santo, a tutto vantaggio del primo. Inutile dire che il Tistin guarì e che la gente che lo vide per il paese e per le vigne gridò al miracolo……..e la vita agreste del vignaiolo ricominciò con la sveglia al canto del gallo, col scendere in cantina bevendo una bottiglia del suo Barolo, per poi andare nelle sue vigne vecchie, passando ore ed ore tra i filari, sentendo la forza della natura, linfa vitale per sé e per le vendemmie di Nebbiolo a venire……

Al pari del reverendo e del vecchio Tistin, ricordando questo emblematico aneddoto, mi sono fatto per così dire la bocca e la voglia di degustare un buon bicchiere di Barolo e scendendo nella mia modesta cantina, si è fatto scegliere il Barolo Cerequio annata 2011 di Damilano di 14,5° vol. 


L’azienda, sita in Barolo, ha origini antiche a partire dal 1890 nell’intreccio parentale di due famiglie storiche, quelle dei Borgogno e appunto quella dei Damilano; qui tradizione e modernità vivono in un rispetto reciproco, sostenuti dal fatto di possedere alcuni tra i crus migliori del territorio langarolo a partire dal Cannubi, al Brunate ed al Cerequio. Recentemente, hanno messo in produzione, con l’annata 2008, il Barolo Riserva “Cannubi 1752” che ho acquistato direttamente in loco in una visita molto interessante. Questa scritta è stata posta in omaggio alla più antica bottiglia delle Langhe ancora conservata nel Comune di Bra, presso la famiglia Manzone, a dimostrazione di come il vigneto Cannubi fosse già famoso ancor prima dell’avvento del Barolo.

Il cru Cerequio non è da meno, si trova a nel Comune di La Morra, uscendo dal caseggiato basta inforcare la stradina “Borgata Cerequio” per arrivare al vigneto dove i Damilano detengono 0,60 h. impiantati nel 1990. 

 Esposto a sud ad un’altezza di 320 s.l.m. e con un terroir composta da sabbia, limo ed argilla.

Ma veniamo alla degustazione.

Stappato 4 ore prima di essere servito; splendido tappo sanissimo e di ben 5,5 cm. Versato nell’ampio ballon si presenta di color rosso rubino intenso e con riflessi granati sull’unghia. Lasciato opportunamente ossigenare si avvertono in apertura note di ciliegia marasca e di viola di campo e a seguire matrici terrose miste a un sottile goudron. Sul finale cuoio e suadenti sensazioni balsamiche di liquirizia e comunque con uno spettro olfattivo inconfondibile per un Barolo. In bocca si avverte ancora la gioventù di questo vino con un tannino ancora evidente, ma talmente elegante ed austero, tipico dei grandi Nebbioli di Langa. Decisamente regale, rigoroso, ampio al palato e con una persistenza aromatica davvero notevole. A tratti quasi medicamentoso e lascia intravedere ancora molta strada davanti a sé per ampliare il suo corollario di terziarietà.

Che dire…..approcciarsi ad uno dei crus più importanti di Langa è sempre una grande soddisfazione. Vino impegnativo e mai banale, sorso dopo sorso. Non dico che faccia resuscitare i morti, ma sono certo che sarebbe piaciuto anche al redivivo Tistin…..e forse ancor di più al suo reverendo!!!!