“Salve frater,

nostro sodalicio te

accipimus ad laudandum

et magno aestimandum

sagrantinum

binum quocum laeti

te abluimus.

Veni nebiscum nostrorum

Collioum vinum bibamus

Quod curas fugat

Et magnam laetitiam

Nobis donat…”


(Confraternita del Sagrantino)


Una delle regioni che porto nel cuore, in cui mi piacerebbe vivere, quando potrò godermi la meritata pensione (spero il più presto possibile….) è l’Umbria. Regione a misura d’uomo, gente ospitale ed autentica, paesaggi affascinanti, luoghi ricchi di storia, cultura e….anche di vini. Potessi scegliere, mi stabilirei a Montefalco, paesino di poco meno di 5.500 abitanti, a circa 50 km da Perugia, uno dei borghi più belli d’Italia, che tra l’altro custodisce una delle opere artistiche rinascimentali che prediligo, ovvero la pala d’altare “Madonna della Cintola” che Benozzo Gozzoli dipinse intorno al 1450 e che da alcuni anni è ritornata al paese natio, dopo un lungo restauro in quel di Perugia. Se non l’avete vista, vi invito a colmare il gap!! 

Pala d'altare Madonna della Cintola

Senza dubbio, però, la maggior attrazione di Montefalco è il suo vino di punta, il Sagrantino. 

Le origini del Sagrantino si perdono nella notte dei tempi; in principio fu Plinio il Vecchio che ne tesse le lodi nella sua “Historie Naturalis” con la citazione:

“,,,Itriola Umbriae Mevanatique et Piceno agro pecularis est…”, in buona sostanza nomina l’Itriola come vitigno tipico del Bevenate, identificabile probabilmente con l’uva Sagrantino; nel “Municipius” romano di Mevania (odierna Bevagna) era compresa anche la zona di Montefalco, tesi confermata dall’archeologo Carlo Pietrangeli. 

Dai reperti storici di questo periodo, il nome Sagrantino non compare mai e studiosi ipotizzano che non si tratti di un vitigno autoctono, ma bensì importato da uno dei numerosi seguaci di S. Francesco d’Assisi; qualcuno tira in ballo il 1452, anno in cui nei pressi di Montefalco, si tenne il Capitolo Generale del Terzo Ordine francescano, che si era distaccato dal Conventuale di Assisi e che alla manifestazione ebbero accesso frati e monaci provenienti da ogni parte del mondo conosciuto e che qualcuno di loro avrebbe potuto portare con sé in modo usuale, semi, pianticelle e anche barbatelle. 

Fosse così, rimane comunque incerto l’origine del suo nome e semplicisticamente i più lo fanno derivare dal fatto che nella sua origine di vino dolce passito lo si utilizzasse nella celebrazione eucaristica, da cui “vino sacro o sagrantino”…..

Il primo documento che lo menziona è datato 1549 ed è riferito ad un’ordinazione di mosto di Sagrantino da parte dell’ebreo Guglielmo, mercante di Trevi ( 12 km da Montefalco) e di sua moglie Stella; in un altro reperto del 1575, una sorta di contratto di mezzadria, si fa riferimento a “quattro pergole di Sagrantino” esistenti nei terreni ceduti. 

Tutto ciò sta a dimostrare che questo vino ha origini molto lontane e tanta storia e che come spesso è successo per altri vini, cadde nell’oblio nel momento in cui il gusto delle persone cambiò radicalmente e la sua versione dolce confluì in poche botti ad uso esclusivo delle famiglie del territorio d’origine. Fu solo negli anni 70 del secolo scorso che, sotto la spinta di un illuminato Arnaldo Caprai, imprenditore tessile che acquistò 45 ettari a Montefalco, il vitigno ritornò in auge e grazie alla sua lungimiranza riuscì a valorizzarlo in una versione secca,  a tal punto che nel 1979 ottenne la Doc e nel 1992 la Docg ed è proprio una sua creatura, il Montefalco Sagrantino “25 anni” annata 2001 di 14,5° gradi che mi accingo a degustare. Porta il nome “25 anni” perché il primo è stato prodotto nell’anno celebrativo del venticinquesimo anno dell’azienda, ovvero nel 1993. Caratteristica peculiare del vitigno, per la sua composizione genetica, è quella di accumulare quantità di tannini maggiori rispetto a qualsiasi altro vitigno al mondo, nella buccia del chicco d’uva, pertanto va valorizzato al massimo il suo affinamento, anche in bottiglia, permettendogli col tempo di non risultare troppo muscoloso. 

Ma analizziamo la degustazione, che dedico al sig. Terraneo (che purtroppo ci ha lasciato…), fine cultore di vino, nonché agente di commercio nel settore e buon amico Di Marco Caprai, che me ne regalò una bottiglia una decina di anni fa e che bevo con un po’ di nostalgia e gratitudine. 

Stappato 4 ore prima di essere servito ed utilizzato per l’apertura un cavatappi a lamella, ma il tappo in parte si è sfaldato e ho avuto il timore che il vino ne avesse risentito, invece, per fortuna non è andata così.

Si presenta di color incarnato prugna con riflessi granati sull’unghia; al naso iniziali sentori di amarena e prugna molto molto mature, quasi marmellatose, lasciano immediatamente spazio a una debordante terziarietà di terra, humus, sottobosco, tabacco dolce, cuoio e sul finale cioccolato fondente.

In bocca, nonostante i 20 anni sulle spalle, presenta ancora un’astringenza ben evidente, con un bel grip al palato, ma non fastidiosa, anzi il tannino è ben levigato e a tratti veramente setoso. C’è verticalità e persistenza, in un corollario gustativo dove la corrispondenza naso/bocca è ben equilibrata anche se emerge sul finale la preponderanza del cioccolato.

E’ al suo apogeo e si dimostra ancora di carattere con un sorso che non lascia indifferenti. 

In sintesi, il Sagrantino è un vino impegnativo e non per tutti i palati e nonostante trabocchi di storia, il suo consumo è prettamente territoriale o giusto per gli appassionati come me. Il sig. Terraneo ne capiva e mi sarebbe piaciuto poterlo degustare amabilmente con lui.